CONVEGNO NAZIONALE dell'Approccio Centrato sulla Persona 2024
“Dalla cura della persona, alla cura delle organizzazioni alla cura dell’ambiente"
SEDE: Rovereto, C. Bettini 84, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Trento
Di Don Ferdi Pircali
Buongiorno e grazie ancora per la vostra presenza e per aver dato vita a questo convegno che sta mostrando tutta la sua necessità e fecondità nel riproporre il grande tema della CURA. Grazie a chi lo ha organizzato e a chi è intervenuto finora con così sorprendente originalità e concretezza.
Veniamo ora al terzo tema del nostro convegno che si focalizza sulla cura dell’ambiente.
CURA, lo abbiamo già visto, è un termine eccezionalmente resistente. Da ventiquattro secoli viene usato, senza soluzione di continuità, in moltissime culture (diciamo che è stato tenuto con cura da tutti); da collegare alla radice indoeuropea *keu-, che rappresenta l'azione di osservare, di notare, di rivolgere l'attenzione (una etimologia suggestiva suggerisce: “Quia cor urat”, perché scalda il cuore).
La cura dell’ambiente è stata al centro di una importante enciclica di papa Francesco, la Laudato Sì, nella quale afferma: “L’ atteggiamento di CURA segna il superamento dell’indifferenza. Niente di questo mondo ci risulta indifferente. Tra i più poveri e abbandonati c’è la nostra oppressa e devastata terra”. (PP. Francesco, Laudato Sì, Enciclica sulla cura della casa comune, LEV, 2015, n.2)
Da subito papa Francesco chiede un mutamento del nostro sguardo sul mistero del Creato. Una solidarietà creaturale che sappia superare l’atteggiamento padronale così diffuso, anche a causa di una cattiva interpretazione di Genesi 1,28: “Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra». (LS n.67): “Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’accusa lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr. Gen.1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore.
Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a «coltivare e custodire» il giardino del mondo (cfr. Gen. 2,15). Mentre «coltivare» significa arare o lavorare un terreno, «custodire» vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, «del Signore è la terra» (Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene» (D.t 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv. 25,23)”.
Dominare, nel contesto di Gn. 1, significa avere l’atteggiamento del Dominus, del Signore, che custodisce, protegge e cura il giardino del mondo intero. Per questo “il mondo è qualcosa di più di un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode”. (PP. Francesco, Laudato Sì, LEV, 2015, n.12) L’atteggiamento di cura nasce dall’aver accettato la dimensione del mistero. Entrare nella dimensione del MISTERO significa cogliere le “vestigia Dei” anche nell’essere più semplice: “ Quando Francesco vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione, allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Signore.” (Fonti Francescane FF460)
“L’universo non è nei numeri. E’tutto pervaso dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è già mezzo morto e non provando stupore e meraviglia passa in questo mondo senza capire nulla”. (Albert Einstein) Mistero viene da miso che è il futuro del verbo Myein = chiudere, tacere.
Come di fronte ad un paziente umano, anche di fronte al creato non siamo chiamati ad aggiungere senso dall’esterno o a interpretare ma a favorire la rivelazione del valore delle cose. “Il confronto con la natura può porci davanti ad un cambiamento radicale nella comprensione del cosmo e dell’essere umano e aprirci ad una fondamentale esperienza spirituale: quella dello STUPORE. (…) Ci insegna a vivere “lentius, profundius, suavius” più lentamente, più in profondità, con più dolcezza (Alexander Langer), recuperando un sano senso della finitudine e della impermanenza, come accade contemplando un albero caduto che è morto ma al tempo stesso si riveste di vita (muschi, licheni, insetti). Il bosco ci insegna anche a metterci in ascolto, esperienza etica e spirituale. Ascoltare è disporsi alla accoglienza della vita in tutte le sue forme, e alla possibilità che qualcosa di inatteso possa manifestarsi. Favorisce il sorgere della beginner’s mind, la mente del principiante: un atteggiamento di apertura, entusiasmo e assenza di preconcetti”. (P. Mauro Bossi S.J., in Letture, CdS 31.03.24)
Quando facciamo un’esperienza autentica con il creato non solo ne comprendiamo meglio la natura ma cominciamo a capire anche qualcosa di più di noi stessi. Quando sei nel bosco e senti quasi fisicamente gli alberi, che stanno prendendo vita dal di dentro, dall’interno, affondando le radici nella terra; quando abbiamo l’occasione, la fortuna di metterci vicini ad una cascata, possiamo avvertire un senso di appartenenza, di fraternità, ed anche lo stupore per una comunicazione intima, da creatura a creatura. Ho avuto la fortuna di fare un giro in Islanda. Le cascate dicono qualcosa di diverso quando sei sopra o quando sei sotto. Sopra condividi anche la loro energia e il timore per il salto nel vuoto. Sotto senti la loro ritrovata certezza: nulla mi ha separato dalla fonte da cui provengo e riparto per il mio cammino.
È ciò che sentiamo a volte anche con i nostri clienti. Bisogna avere questa fiducia, sentire con loro, sostando consapevolmente presso la loro creaturalità esuberante o sofferente, sempre interpellante: “Il mio giardino mi pone la stessa domanda a cui ho cercato di dare risposta in tutta la mia vita professionale: Quali sono le migliori condizioni per la crescita?” (C.R., Un modo di essere, ME n.63).
Le piante dimenticate in cantina da Carl Rogers, che ostinatamente si orientano verso la luce, gli rivelano l’esistenza e la forza della tendenza attualizzante. In un articolo del 1978, la descrive così: “Abbiamo a che fare con un organismo che è sempre motivato, è sempre intento a qualcosa, che cerca sempre qualcosa. La mia opinione è che c’è nell’organismo umano, una sorgente centrale di energia e che tale sorgente è in funzione di tutto l’organismo, non solo di una sua parte. Il modo migliore per esprimerla con un concetto è di definirla tendenza al completamento, all’attualizzazione, alla conservazione ed al miglioramento dell’organismo”. (Rogers C. (1978) The formative tendency. J. Hum. Psychol., 18, pp. 23-26)
E ancora: “E’ necessario mantenere i piedi ben piantati sulla terra delle esperienze reali. Non posso spendere la mia vita nelle astrazioni. Così ho bisogno di rapporti autentici, mani sporche di terra e un tramonto da osservare” Le persone sono altrettanto meravigliose quanto i tramonti se io li lascio essere ciò che sono. In realtà, la ragione per cui forse possiamo veramente apprezzare un tramonto è che non possiamo controllarlo. Quando osservo un tramonto come facevo l’altra sera non mi capita di dire: “Addolcire un po’ l’arancione sull’angolo destro, mettere un po’ più di rosso porpora alla base, ed usare tinte più rosa per il colore delle nuvole”. Non tento di controllare un tramonto. Ammiro con soggezione il suo dispiegarsi. (ME 44).
Anche grazie al suo modo di osservare alcuni elementi naturali, Rogers ricava i fondamenti del suo approccio centrato sulla persona, che non viene più isolata dal suo ambiente e dalla sua dimensione creaturale.
“L’empatia ci permette di connetterci col tutto attraverso il particolare del qui e ora. Il grido della terra ed il grido dei poveri vanno ascoltati insieme, attraverso un vero approccio empatico che è sempre anche sociale, perché l’ambiente umano e l’ambiente naturale si elevano o si degradano insieme”. Sembrano parole di Rogers ma sono di papa Francesco al n. 48 della stessa Enciclica. Ambiente umano e ambiente naturale vanno approcciati empaticamente. La cura dell’ambiente e la cura delle persone si interfacciano e si sostengono o si degradano insieme. Le guerre sono la tragica enfatizzazione di questa insopprimibile realtà.
Ma che cos’è l’ambiente? L’ambiente (dal lat. ambiens -entis, part. pres. di ambire «andare intorno, circondare) è tutto ciò che ci circonda e con cui si interagisce. L’ambiente è lo spazio in cui si sviluppa la vita degli organismi e che permette la loro interazione. Amb-iens è un participio presente: andante intorno, azione che continua. Questo significa che non siamo semplicemente di fronte ad un Kosmos (ordine, armonia, bellezza) ma ad una cosmogenesi. L’essere umano non è compimento del creato ma è dentro il processo creativo, che è evoluzione ma anche discontinuità.
Ambiente naturale, sociale, lavorativo, culturale, economico, politico, virtuale… Rischio di frammentare il discorso. Necessita una centratura: Dove focalizziamo? A.C.P: Approccio Centrato sulla PERSONA! Quale persona? “La cura della persona è per te! Quel “per te” è impertinente. E’ necessario un rimbalzo autobiografico. Altrimenti basterebbero le ricette…” (P. Livio Passalacqua)
Il ritorno alla natura si configura, quindi, come un ritorno alla propria terra, alla natura che è in noi e della quale siamo costituiti.
Meister Eckhart (1260-1328), nel Libro della consolazione divina, ca. 1308, scrive che “Dio non avrebbe creato il mondo, se l'averlo creato escludesse il ricrearlo: l'ha creato in modo tale che continua a crearlo sempre, senza interruzione. Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso. Se trascorressi abbastanza tempo con le più piccole creature - anche un lombrico - avrei materiale sufficiente per preparare un sermone, tanto è piena di Dio ogni creatura.”
Gesù disse: - Se coloro che vi guidano vi dicono: “Ecco! Il Regno è nel cielo”, allora gli uccelli del cielo vi saranno prima di voi. Se essi vi dicono: “Il Regno è nel mare”, allora i pesci vi saranno prima di voi. Ma il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi. Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete che siete figli del Padre Vivente. Ma se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete voi stessi privazione. (Vangelo apocrifo di Tommaso).
Ambientarsi significa, anzitutto, andare verso sé stessi, è trovare la propria collocazione nel Creato, armonizzandola con il tutto. Il ritorno alla natura si configura come il ritorno a noi stessi, alla natura che è in noi. Quella terra di cui siamo fatti (Adamo-adamà-terra). Uno dei primi esempi è quello di Mosè di fronte al roveto ardente, che si sente dire: “Mosè togliti i calzari perché la terra su cui stai è kadosh, una terra sacra.” Kadosh in ebraico ha il suffisso “kad-cut”, tagliare, separare. Ma la cosa bella è che il testo ebraico non dice è una “terra-eretz (in ebraico Erétz Yisra'él, terra d’Israele) sacra, ma dice “adamà”, cioè la terra di cui siamo fatti. “Mosè togliti i calzari di fronte alla terra sacra di cui sei fatto, di fronte al mistero della tua vita!”. Comincia a guardarti con occhi diversi. Mosè era un fallito, era stato alla corte del Faraone, aveva ricoperto la seconda carica del regno più potente della terra, e adesso si ritrova a fare il guardiano delle capre di suo suocero Ietro. Ha una moglie che si chiamava Zippora, uccellino, e un figlio Gerson, “lo straniero”. Umanamente un fallito senza attenuanti e speranze. Eppure è un Mōsheh, cioè un salvato dall’ acqua! La prossima volta che vedremo una persona che viene da noi con un senso di fallimento pensiamo che questa persona custodisce una adamà, una terra sacra. E lo siamo anche noi.
Un altro uomo che ha fatto un’esperienza simile è Francesco d’ Assisi (1182-1226). Nella primavera del 1205, partito da Assisi dopo l’investitura a cavaliere, in cerca di gloria, si sente dire da una voce misteriosa “Ritorna alla tua terra!” (FF1032) E dal rientrare in sé stesso comincerà a maturare uno sguardo nuovo sugli altri e sul mondo: ”Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, Francesco esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore (Cfr Sal 91,5) e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere. Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto (Cfr Ct 5,16). Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile”. (FF 1162) “Francesco, allora già celebre come uomo nuovo che con nuove virtù rinnovava la via della perfezione ormai sparita dal mondo” (FF3162), inaugura una nuova spiritualità che segna una rottura con il suo tempo. Tempo in cui Lotario dei conti di Segni (1161-1216) futuro papa Innocenzo III, uno dei papi più potenti della storia, sintetizzava il totale disprezzo per la materia e le creature nel suo terribile “De contemptu mundi”, il disprezzo del mondo, dove tutto ciò che è materia si oppone al cammino spirituale e va combattuto e rifiutato. Attraverso una ritrovata armonia con il povero, in particolare i lebbrosi di cui si mette al servizio, ed il creato, Francesco non si limita a fare cose nuove ma diventa uomo nuovo, ad immagine del Cristo di cui San Ireneo dice “…che portò ogni novità nel mondo portando sè stesso”.
Da questa novità nasce anche un Cantico nuovo che, come dice papa Francesco, “è una preghiera che contiene un grande insegnamento e da otto secoli non ha mai smesso di palpitare”. E’ Il Cantico di Frate Sole, detto anche Cantico delle Creature che compie quest’ anno 800 anni e costituisce il fondamento dello sviluppo della nostra lingua essendo il primo testo in lingua italiana di cui conosciamo l’autore.
FF 263 1 Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione. 2 A te solo, Altissimo, se confano e nullo omo è digno te mentovare. 3 Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature, spezialmente messer lo frate Sole, lo quale è iorno, e allumini noi per lui. 4 Ed ello è bello e radiante cun grande splendore: de te, Altissimo, porta significazione. 5 Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle: in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle. 6 Laudato si, mi Signore, per frate Vento, e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento. 7 Laudato si, mi Signore, per sor Aqua, la quale è molto utile e umile e preziosa e casta. 8 Laudato si, mi Signore, per frate Foco, per lo quale enn’allumini la nocte: ed ello è bello e iocondo e robustoso e forte. 9 Laudato si, mi Signore, per sora nostra madre Terra, la quale ne sostenta e governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba. 10 Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. 11 Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati. 12 Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullo omo vivente po’ scampare. 13 Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali! 14 Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte seconda no li farrà male. 15 Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate e serviteli cun grande umiltate.
Francesco lo inizia a comporre nel 1224 mentre dimora a san Damiano ospite da Santa Chiara perché ha una gravissima malattia agli occhi. Una malattia che gli stanno curando con delle cauterizzazioni attraverso un ferro incandescente poggiato sulla tempia. Il medico gli spiega che sarà molto doloroso. E allora Francesco, invece che rivolgersi al medico e dirgli di fare piano, si rivolge direttamente al fuoco e gli dice “«Frate mio fuoco, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l'Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in quest'ora, sii cortese, perché da gran tempo ti ho amato nel Signore. Prego il Signore grande che ti ha creato di temperare ora il tuo calore in modo che io possa sopportare, se mi bruci con dolcezza ». E quando il medico mette la piastra rovente i frati inorridiscono sentendo “friggere la carne” ma Francesco li rassicura dicendo: “Perché siete fuggiti? Pusillanimi! In verità vi dico che non ho provato alcun dolore!” (FF 752). Frate Foco aveva restituito il favore per quella volta che Francesco, col cappuccio dell’abito in fiamme, aveva scongiurato i frati di non spegnerlo, correndo nel bosco e urlando: “Non fate del male a frate Foco”. Vuol dire che c’è qualcosa di misterioso nel legame tra noi e le creature e molte persone illuminate, ad ogni latitudine, ce ne svelano i segreti. E poi l’altra strofa: Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle: in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle. Ho sempre pensato che quando ha scritto “clarite” si riferisse a Chiara, la donna che lo aveva accompagnato in questa follia. La donna che quando “mandava le Sore servitrici de fora del monasterio, le ammoniva che, quando vedessero li arbori belli, fioriti e fronduti laudassero Iddio; e similmente quando vedessero li omini e le altre creature, sempre de tutte e in tutte (le) cose laudassero Iddio(FF 3129) Una volta ero in Toscana a fare una conferenza ad un gruppo di abbadesse delle Clarisse e chiesi: “Ma quando le suore vanno fuori voi glielo dite che se vedono gli uomini devono lodare Dio?” Una mi rispose: “Veramente gli diciamo di abbassare la testa e di passare oltre”. Erano più liberi 800 anni fa. Era più libera Chiara!
Francesco, attraverso il contatto con la natura e l’umanità sofferente, riesce a spodestare l’io come centro di gravità. “Egli porta a compimento una interpretazione affettiva del rapporto tra natura, uomo e Dio, non paragonabile a niente di ciò che riscontriamo in Occidente fin dai tempi più antichi e nettamente contrario a tutto il senso della natura presente nella riflessione cristiana” (Max Scheler). Prima di lui, infatti, i cristiani cercavano la perfezione nel rifiuto della natura”. (A. Merino, Umanesimo francescano, CE, 1982, p215ss) “Quando gli uccelli cantano noi udiamo solo la melodia mentre Francesco distingueva chiaramente anche le parole” (N. Kazantzakis).
In questa ritrovata armonia, con sè stessi e con il creato, non solo ci si prende cura dell’ambiente, ma è l’ambiente stesso che si prende cura di noi. “Non è l’uomo che si cura della natura ma la natura che si cura di noi. Perché l’universo è allo stesso tempo origine e fonte di sostentamento della vita. La natura fornisce alla vita gli strumenti per rigenerarsi nei suoi momenti più vulnerabili, come nella malattia e nell’infermità. In Amazzonia e in tante altre parti della Terra, la gente si cura con dei rimedi naturali. Siamo tutti abbracciati da questo grande mantello della natura in cui tutti gli esseri umani sono avvolti. Riprendendo le parole di Leonardo Boff, la Terra è «un superorganismo vivo, chiamato Gaia, che funziona come un sistema che si regola da solo» e «richiede una nuova civilizzazione, un nuovo tipo di religione capace di ricollegare» Dio, mondo ed essere umano. Non siamo noi che si prendiamo cura della creazione ma la creazione che si prende cura di noi.” (Paolo Boschini, Un pensiero ecologico differente). Noi stessi siamo il nostro primo ambiente e tendiamo a modificare l’ambiente che ci circonda. La maggior parte dei cambiamenti nell’ambiente sono causati dall’azione dell’uomo. L’uomo è l’organismo vivente che interviene maggiormente nell’ambiente: non solo crea l’ambiente artificiale, ma esplora, modifica e utilizza le risorse dell’ambiente naturale per la propria sopravvivenza e benessere. Qualsiasi attività umana ha un impatto sull’ambiente, un’influenza che diventa negativa se tali azioni vengono svolte in maniera non sostenibile.
La LS dà a noi umani una responsabilità maggiore. Il nostro modo di essere condiziona l’esistenza delle altre specie. Migliaia di loro, per causa nostra, non esistono più e non danno più gloria a Dio con la loro esistenza (LS n.18) C’è una priorità dell’essere, rispetto all’essere utili! Perché lo scopo finale delle altre creature non siamo noi, che siamo chiamati, invece, a ricondurre tutte le creature al loro Creatore. (83) Per questo il papa chiede una nuova conversione ecologica dove l’ecologia va intesa come la cura intenta e meticolosa del luogo in cui si vive, della propria casa, dei delicati equilibri che la regolano. Non ci verrebbe mai in mente di non curare casa nostra e sempre desideriamo belle case. Ecologia come coerenza etica con se stessi - quindi cura della propria “casa morale” - e perfino ecologico come sinonimo di sano, buono, equilibrato.
“Nulla di ciò che il Grande Mistero aveva posto sulla terra degli indiani piaceva all’uomo bianco. Noi aspiravamo all’armonia con l’ambiente circostante, l’uomo bianco, invece, voleva dominarlo. Per l’uno il mondo era pieno di bellezza; per l’altro era un luogo di peccato e di bruttezza da sopportare prima di andare in un altro mondo, dove diventerebbe una creatura alata, mezzo uomo e mezzo uccello. L’uno ordinava al proprio Mistero di cambiare il mondo da lui creato. Il Lakota era saggio. Sapeva che il cuore dell’uomo, lontano dalla natura, si indurisce. Per questo teneva i suoi figli vicino alla natura che addolcisce i cuori." (Capo Luther Orso in Piedi, Sioux Oglala in Kent Nerburn, La saggezza degli Indiani d’ America, Ed. l’età dell’Acquario, p.53)
Concludiamo con alcune interessanti analogie tra San Francesco e Carl Rogers. All’inizio del suo risveglio, dopo la visione di Spoleto (FF1032), Francesco prova un senso di inadeguatezza e incomprensione, dato dalla rottura con l’ambiente famigliare e la messa in discussione della vita precedente: “Nessuno mi mostrava cosa dovessi fare… Stetti un poco e uscii dal mondo”. CR descrive l’atmosfera di famiglia come rigida ed inflessibile sia dal punto di vista religioso che etico. “Ero un ragazzo del Midwest, ingenuo, religioso, cristiano e provinciale, allevato in maniera abbastanza chiusa sotto tutti gli aspetti, tradizionalista, di parte, ultrapatriottico, nazionalista e così via”(RS 85). L’esperienza della Cina (1922) è per lui una sorta di visione di Spoleto: “Interrompendo per sei mesi tutti i contatti con la mia famiglia ed il mio ambiente e messo di fronte ad una conferenza di persone veramente brillanti e con idee diverse, mi sentii libero di avere pensieri tutti miei e così ribaltare molte delle mie convinzioni in maniera abbastanza indolore. Solo quando queste nuove idee erano diventate abbastanza stabili, sbarcato a Vancouver, ricevetti una lettera di mia madre in cui lei mi ripudiava psicologicamente: mi sentii tagliato fuori ma mi stava bene” (RS85-86).
La messa in discussione di costrutti consolidati, una nuova visione di sé, degli altri, del cosmo, il contatto con la sofferenza e la natura, le intuizioni che appaiono rivelazioni, sono passaggi che accomunano i nostri due.
Come Francesco anche Carl impara dal vivere con consapevolezza l’ambiente umano e naturale. Guarda la natura per capire chi è l’uomo e a volte parla degli esseri umani come fosse un’esperienza di natura. Descrivendo certi gruppi di incontro diceva “Io mi sento una forza vitale dentro come se fossi in un bell’ambiente naturale”. Perché alla fine è questo che siamo: natura. La cosa più bella che ci può capitare è stare tra le persone come se fossimo in un bell'ambiente naturale carico di forza e di energia.
Per evitare forzature è bene sottolineare che San Francesco ha la chiara consapevolezza che l’originalità del suo percorso umano è dipesa tutta da Dio: “Il Signore dette a me…” ripete più volte nel suo Testamento. Carl soleva dira di essere “troppo religioso per essere religioso”, ma scrive anche che “… è chiaro che le nostre esperienze nella terapia e nei gruppi coinvolgono il trascendente, l’indescrivibile, lo spirituale. Sono costretto ad ammettere che io, come molti altri, ho sottovalutato l’importanza di questa dimensione mistica e spirituale” (cfr. C.Rogers, ME, Giunti 2012, 1980, trad. it. p. 140-1).
Possiamo a questo punto stendere un piccolo ponte tibetano, più suggestivo che ingegneristico, fra il Cantico delle creature e le tre condizioni necessarie sufficienti del nostro approccio.
“Laudato sii o mi Signore con tutte le creature”. Una accettazione positiva e incondizionata della diversità, una accettazione di ciò che è diverso da me ma che ha una sua dignità. Ma come fai a dire a un fiore che ha un colore sbagliato? Come fai a dire ad un albero che non doveva crescere in quel modo? O a correggere un tramonto?
E poi “Laudato sìi o mi signore per sora acqua, la quale è molto utile umile ed preziosa e casta”. Utile, umile e preziosa lo comprendiamo meglio oggi che allora data la crisi idrica contemporanea. Ma perché la chiama casta? Che cos’è la castità? La castità è non imporre niente a nessuno. La castità è non imporre. Lo stupro e la violenza sono le cose più brutte perché imponi. Sono cose così vergognose e solo quando arriveremo a parlare delle guerre come si parla dello stupro forse cominceremo a capire qualcosa. Cosa fa l’acqua? Scende sempre verso il basso, penetra in ogni cosa per ridarle energia rispettandone e favorendone forma e colore propri. Cosa rappresenta l’acqua? E’ la nostra capacità di empatizzare. L’acqua empatizza con tutto e non lascia traccia di sé, se non nell’aver ridato forza vitale a ciò che ha amato, baciato. Lì dove entra l’acqua sembra perdersi e invece fa esattamente ciò che deve fare, come un buon terapeuta. Non si spaventa di entrare fino in fondo ma non è lì per imporsi o lasciare traccia di sé. E’ per dare forza vitale a ciò che tu sei. Tu alla fine sei più più autenticamente te stesso. L’acqua rappresenta davvero una buona forma di empatia.
E sulla congruenza, il rischio di perdersi, non sapere più chi siamo. Abbiamo già visto che la cura dell’ambiente si configura prioritariamente come una cura del SE’ ORGANISMICO! E’ un ritorno alla parte autentica di se stessi. Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature, spezialmente messer lo frate Sole, lo quale è iorno, e allumini noi per lui. Perché il sole è iorno, e allumina? Perché è così, è nella sua natura farlo. La visione di CR ci pone di fronte all’ ambiente non per sapere cosa fare ma COME ESSERE. Introduce nella logica della presenza – assenza. Nel rapporto terapeutico è tanto importante ciò che portiamo quanto ciò che lasciamo fuori. E’ l’assenza di tutto ciò che non è autentico che crea la buona qualità della presenza. Esempio sublime EMMAUS: una assenza che apre gli occhi. “Egli sparì dalla loro vista…si aprirono i loro occhi” (cfr. Lc 24,28-35) I maestri se ne vanno perché altrimenti noi non ci metteremmo mai in cammino per diventare autenticamente noi stessi. Giovanni 16,7: “ Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada!”.
Per questo Carl ci dice che alla fine dobbiamo adottare un modo di essere. Quando il papa parla di una ecologia dei piccoli gesti quotidiani e che è ora di parlare di decrescita, parla di un nuovo modo di essere che ha ricadute positive per tutto l’ambiente. La decrescita non è detto che debba essere per forza felice. Ma se si hanno dei motivi, se si ha un perché, diceva Nietzsche, si accetta quasi ogni come. Se ci sono dei motivi lo si fa. È tempo di passare da una ecologia ad una ecosofia, cioè “Dobbiamo tornare ad amare, a prenderci cura della Natura, anzi ad essere natura, anziché dominarla. l’arte di prendersi cura della natura, riconoscendosi parte di essa è ciò che chiamo ecosofia” . (Raimon Panikkar (1918 – 2010).
CONCLUSIONI
Chiudiamo con tre citazioni che aprono il sentiero a scenari futuri.
“Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato, quando l'ultimo albero sarà abbattuto, quando l'ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il denaro non si mangia." (Capo Toro Seduto dei Sioux Lakota) “Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo, è l'uomo che appartiene alla terra. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso”. (Capo Seattle)
“Lo scenario del futuro centrato sulla persona… sembra muoversi inesorabilmente verso il cambiamento della nostra cultura. E il cambiamento sarà in direzione di una nuova umanità”. (C. Rogers, Un modo di essere, p. 289).
“La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri. Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza. ( Francesco, LS, 222;244)
Grazie a tutti voi per questo incontro, grazie ai nostri sé che ci hanno condotti qui, grazie ai maestri che ci guidano e buon cammino nella gioia a tutti voi!
תגובות